La rivoluzione americana, da europei, ci coinvolge e riguarda, seppur paradossalmente, come spettatori e allievi del compimento reale ed effettivo di quei valori tradizionalmente legati alla cultura illuminista. Elemento chiave della rivoluzione, che parte come sommossa contro le autorità britanniche per il principio “no taxation without representation“, è sicuramente la Dichiarazione d’Indipendenza redatta nel 1776 dai coloni: segna una svolta che coinvolge l’Occidente stesso. Essa si fonda sul consenso dei governanti da parte dei governati e il riconoscimento di alcuni diritti naturali e inalienabili: alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità; qualcosa di mai concretizzatosi prima di allora. E da qui l’effetto domino in Europa, a partire dalla celeberrima rivoluzione francese.
Lo snodo logico di questi avvenimenti vien da sé: i cari principi dell’Illuminismo vengono applicati oltreoceano (fatta eccezione, ovviamente, per determinate categorie sociali), prima che qui da noi. Gli Stati Uniti si dotano perciò di una nuova costituzione, un presidente, una capitale e una bandiera. Con il trattato di Versailles del 1783 il governo inglese riconosce la sovranità delle ex colonie sul nuovo continente.
All’alba però di una stagione espansionistica, volta ad ampliare gli orizzonti oltre il limite dei monti Appalachi, i principi e i diritti fondamentali dell’uomo si dissolvevano, per lasciare che nuove uccisioni macchiassero il vergine suolo americano. Si tratta di uno sterminio senza precedenti, violenza inaudita e feroce nei confronti di tribù con usanze e valori ben differenti.
La Dichiarazione d’Indipendenza americana sanciva definitivamente la fine di quella dei nativi, uccisi con barbarie da una popolazione che aveva la presunzione di considerarsi più evoluta e superiore. A ben poco servirono le parole spese da capi indiani, che all’insegna della pace erano pronti a cedere la loro terra, parte della loro stessa anima, al nemico, con l’unica raccomandazione di trattarla con rispetto e devozione. All’ombra di colonizzatori pronti a combattere in nome degli Stati Uniti per civilizzare quel vasto territorio si celava l’odio ed il pregiudizio verso una cultura divergente confinata a vivere ghettizzata in riserve naturali.
Da qui l’ostilità degli Indiani come risposta automatica ad un tipo di violenza sconosciuta poiché distante dai valori comunitari dei nativi, pertanto spaventosa ed imprevedibile.
Eppure in alcune pellicole cinematografiche, come nel film “Balla coi lupi”, ci si presentano degli esempi di “what if”, se si fossero presi in considerazione i valori della coesistenza tra diverse etnie e culture, ma soprattutto condivisione, basata sull’arricchimento reciproco e la possibilità che ci fosse una via più semplice ed umana.
La paradossale amicizia tra un soldato americano e gli indiani Sioux capovolge la prospettiva patriottica occidentale, con l’intento di rischiarire la nostra annebbiata visione su un attacco immorale.
“Ma dio è lo stesso Dio”.
È una riflessione che tocca le corde profonde del nostro essere poiché attuale ed unanimemente condivisibile, seppur con accezioni dissimili.
Il cielo e la terra che percepiamo sono gli stessi nonostante i confini geo-politici, apparteniamo ad una stessa matrice comune che ci lega saldamente gli uni agli altri volenti o nolenti.
Articolo redatto da Ghidini Francesca, Incarbona Gaia Maria, Passafiume Marika